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Marano Equo

Il territorio del Comune di Marano Equo è uno dei meno estesi fra quelli della Provincia di Roma. Situato sulla Via Sublacense, il paese, che fu fondato probabilmente dagli Equi, è adagiato su una collina nella Valle dell'Aniene. Dopo aspri conflitti con la Lega Latina, la zona fu conquistata da Roma e da questa assegnata ai comandanti militari, in genere di famiglie patrizie, per risarcirli delle spese sostenute per finanziare la guerra. Uno di questi territori è quello dove sorge oggi Marano Equo. Alcuni studiosi fanno derivare il toponimo da un fundus Marianus, in riferimento al nome romano Marius, mentre altri lo collegano alla parola 'marana', termine con il quale i Romani indicavano i corsi d'acqua dei quali è ricco il territorio di Marano Equo.

L’aggiunta del termine 'Equo' al toponimo risale al 1872 e fu motivata dalla necessità di distinguere Marano dai paesi omonimi.
Una delle prime opere pubbliche compiute da Roma dopo la conquista fu il prolungamento della Via Tiburtina, che prima si fermava a Tivoli, fino oltre il Lago Fucino. Nacque così la Via Tiburtina Valeria, nome datole dal Console Marco Valerio Massimo che intraprese l'opera. L’arteria permise a Roma di sfruttare l'acqua di cui quella zona è ricchissima. Dopo la caduta dell'Impero Romano, tali acquedotti, già vetusti, non resistettero alla furia dei Barbari.

L’incastellamento di Marano, che nel Regesto Sublacense risulta di proprietà dell'Abbazia di Subiaco già nel IX secolo, viene fatto risalire all'XI secolo, quando Marano divenne feudo della famiglia Crescenzi, passando successivamente all'abate di Subiaco Giovanni, appartenente a questa nobile famiglia, che lo amministrò saggiamente. Nel XIII secolo il Castello di Marano risulta in possesso dei vescovi di Tivoli, dai quali l'abate Bartolomeo lo riscattò nel XIV secolo.

Nel 1456 papa Callisto III istituì nell'Abbazia di Subiaco la figura dell'abate commendatario, un importante personaggio ecclesiastico, scelto fra i cardinali, ma non necessariamente un monaco dell'Abbazia. Gli abati commendatari esercitarono, sul vasto territorio controllato dal Monastero sublacense, un potere politico ed economico simile a quello di un signore feudale e un potere spirituale simile a quello di un vescovo. Nel periodo in cui fu abate commendatario il cardinale Rodrigo Borgia (seconda metà del XV secolo) il Castello di Marano Equo passò sotto il dominio di questa famiglia e dei suoi successori, che lo amministrarono fino al 1753, data in cui tutti i possedimenti dello Stato Pontificio passarono sotto l'amministrazione diretta del Buon Governo. In questo arco temporale, il territorio fu, comunque, tenuto dai Colonna, dai Caffarelli Borghese Barberini.

La disastrosa epidemia di peste del 1656 falcidiò gli abitanti dell territorio, che qualche anno dopo risultavano essere appena cinquecento. Una serie di calamità colpì poi Marano nel XVIII secolo, tra le quali due inondazioni del fiume che, rovinando i raccolti, provocarono terribili carestie. Erano fiorentissime a Marano la coltivazioni e la lavorazione della canapa: nel 1850 erano attivi nel paes~ 400 telai per la tessitura, attività che è stata poi progressivamente abbandonata. Tuttora molto praticata (per lo più a conduzione familiare)è l’attività agricola: accanto alla tradizionale produzione di cereali olive, si è sviluppata quella degli ortaggi e dei legumi (in pare re dei fagioli, cui è dedicata anche una sagra). Notevole resta la produzione di legname

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